28 marzo 2007

APERITIVO


APERITIVO

Mi siedo al bar e chiedo un bicchiere di Porto, rosso.
Amo questi momenti di pubblica solitudine, questa impegnata e impegnativa apatia.
Seguo con lo sguardo il rapido allontanarsi della cameriera senza osservarla veramente, come una musica che fa da sottofondo al film dei miei pensieri.
Sto fermo, aspetto, e penso...
Niente di particolarmente interessante o impegnativo, ma penso.
Inizio con qualcosa di semplice, così, per scaldarmi in attesa di pensieri più' complessi.
Penso al tempo.
E' gennaio, ma non lo sembra, non in questo istante.
Due ore fa sì, lo sembrava, e tra un paio d'ore probabilmente lo sembrerà di nuovo, ma ora no, non è gennaio.
Il cielo è pulito, lavato da una pioggia accortasi di aver finito il suo lavoro soltanto ieri, e il sole allo zenith (si dice così?) dà il meglio di sé che, come per tutti in questa stagione, non è molto, ma almeno lui ci prova...
E' un po' come i giudizi che ti davano alle elementari, quelle frasi ripetute sempre uguali come “il ragazzo è intelligente ma non si applica, potrebbe dare di più”, oppure “suo figlio ci prova, si vede che s’impegna, ma gli mancano le basi”.
Ecco, in questa tarda mattinata il sole si applica, ci prova, non può dare di più ma i risultati sono appena sufficienti, beh, sa com'è signora, non tutti siamo nati per fare l'avvocato o il dottore.
E nemmeno l'insegnante, penso...
Comunque, complice l'orario, questo sole scalda più di quanto ci si aspetterebbe.
Credo che se una persona si svegliasse dal coma in questo momento penserebbe che sia primavera, se non addirittura l'inizio di un'estate non troppo bollente.
Immediatamente dopo rifletto sull'enorme quantità di cazzate la cui posta viene recapitata nella mia mente, e sul fatto che quel tizio che si è appena risvegliato dal coma ha molto da pensare prima di soffermarsi su che giorno è.
La cameriera non torna, mi faccio una sigaretta.
Tiro fuori dalla tasca il tabacco, lo poso sul tavolino, poi trovo l'accendino, poso anche quello.
Per ultima mi capita in mano la scatolina dove tengo le cartine e i filtri.
E' una piccola scatola di metallo nata per un utilizzo meno lesivo della salute rispetto a quello di oggi.
Quando l'ho comprata, questa scatoletta conteneva dei piccoli rombi di liquirizia.
Ricordo di essere rimasto colpito dal disegno sul coperchio: un arlecchino con un'espressione non troppo allegra, direi simile a una smorfia, che getta coriandoli in una notte di luna piena, con una gondola, un albero e quelli che sembrano i resti di un qualche tempio greco sullo sfondo, in una sola parola, orribile!
Talmente brutta, però, da risultare interessante...
E' il fascino dell'orrido, è restare colpiti da qualcosa che troviamo ripugnante eppure morbosamente affascinante.
E' fermarsi a guardare un incidente, è un film splatter, è guardare nel fazzoletto dopo essersi soffiati il naso.
Anche il motivo di questo disegno su una scatola di liquirizie ha un che di stupidamente geniale.
Tutto sta nel vestito di Arlecchino: le pezze che lo compongono sono tutte a forma di rombo, esattamente come le liquirizie...
Guardando la piccola scatola con un'attenzione che non le concedevo da molto tempo, mi rendo conto di quanto è rovinata, invecchiata direi…
Come in quel gioco che si faceva da bambini in cui uno dice una parola e così via fino a quando non si trovano più parole o, più probabilmente, fino a quando non ci si stufa, così ho iniziato ad associare idee a quel primo pensiero della scatoletta vecchia.
Scatoletta vecchia – dovrei cambiarla – è tanto che fumo – forse dovrei smettere – però, in fondo, ci tengo a questa piccola scatola – vabbè, dai, la tengo.
La apro, prendo un filtro e lo metto in bocca, tolgo una cartina dal pacchetto rosa che le contiene e la tengo in mano.
Ora tocca al tabacco, ne strappo un po' tenendolo tra il pollice e l'indice e lo metto nella cartina.
Tolgo il filtro dalla bocca e lo metto accanto al tabacco, sulla destra.
Stringo i bordi della cartina con entrambe le mani, sfregando in alto e in basso le dita, do al tutto una forma cilindrica.
Il resto succede in pochi secondi.
Infilo con il pollice della mano sinistra un lembo della cartina all'interno del cilindro, lecco la piccola striscia di colla e infine chiudo il tutto.
Mi viene in mente una canzone, “la città vecchia” di De Andrè, quel verso che fa “presto affinerà le capacità con l'esperienza”…
Quanto è vero…
Se mi fossi applicato nello studio, magari del pianoforte, con la stessa devozione con la quale mi sono completamente offerto alle sigarette, probabilmente stasera suonerei alla Royal Albert Hall.
Si può dire che sono il Keith Jarrett dei tabagisti...
La cameriera torna verso di me ma, stranamente, non ha niente in mano.
Questa volta la osservo con più' attenzione.
Strano, a “prima vista” mi era sembrata una donna decisamente matura, intorno ai cinquant'anni, ma adesso mi accorgo che di anni ne ha al massimo trenta, molto probabilmente meno…
Ha i capelli neri, molto lunghi, ricci…
La pelle è bianca, molto bianca, troppo bianca.
Non è quel colore che di solito identifica la pelle come ''di porcellana'', è più un bianco che tende al grigio, o forse all'azzurro, somiglia un po' ai capelli delle vecchie, o anche alla pelle dei cadaveri che si vede nei film.
Non è truccata, non gli occhi, non le guance, ha solo un rossetto rosso, molto rosso, troppo rosso.
Mi piace.
Mi piace questa scomoda convivenza tra vita e morte, sembra che tutto il sangue presente nel suo corpo si sia concentrato lì, sulla bocca, pronto a un'eruzione esplosiva, con me, novella Pompei, in attesa di essere sopraffatto...
Vedo solo le sue labbra, il resto non m’interessa.
Le vedo impegnate in un seducente passo a due...
Ora si allontanano, ora si avvicinano fino a toccarsi, simmetrie reciproche nella danza della parola.
Già, la parola, perso nell'inseguimento del movimento ho completamente perso di vista il significato, che cosa avrà detto?
-Ad essere sincero mi sono lasciato piacevolmente distrarre dalle tue labbra e non ho capito quello che hai detto ma non importa, anche perché sono io a voler parlare.
Sai a volte succede qualcosa che non ti aspetti, magari ci speri, ma non te lo aspetti, come vedere un film che ti piace, o come il sole la domenica, qualcosa di dolce, reso ancora più dolce dalla sorpresa.
Qualcosa come incontrare te, stamattina.
Vorrei dirle questo e molto di più, vorrei dirle cose che ho già detto ma alle quali non ho mai creduto fino ad ora.
Vorrei dirle che è un sogno che non riesco a ricordare, un sogno troppo bello, talmente bello che se lo rievocassi nei miei pensieri diurni probabilmente vorrei tornare immediatamente a dormire, e morirei di piaghe da decubito in una settimana.
Vorrei dirle che la sola idea di lei è una malattia che il mio corpo rigetta per sopravvivere.
Vorrei dirle che è sempre stata in me senza che io me ne accorgessi, eppure lo so, vorrei ma non ci riesco.
Le mie parole escono dalla mente ma sono dirottate verso altre mete prima di arrivare alla bocca.
L'unica che riesce ad evitare ogni controllo e arrivare intera tra le mie labbra è “scusa”, soltanto e niente più di “scusa”, e questo è quello che dico.
-Scusa?
E lei -Vuole il ghiaccio nel suo porto?
-No, grazie, niente ghiaccio.
Se ne va un'altra volta.
Un Porto con il ghiaccio è scomodo e fastidioso come un porto con il ghiaccio.
La guardo ancora mentre si allontana e più la osservo più m’innamoro, e più m’innamoro più mi do del deficiente.
Non devo pensarci troppo, se mi concentro solo su di lei non riesco a restare freddo, calmo.
Mi emoziono e non va bene.
E allora mi fermo, mi calmo e ricomincio con i pensieri...
Ne faccio due sul tempo, mezz'etto sul fatto che si muore, cinque sui cani.
Sul sesso provo a non farne ma è difficile.
È come non pensare al mare se vivi a Genova, non pensare al the quando sei nello Sri Lanka, non pensare ai voti quando sei a scuola, o in convento.
E, infatti, non ci riesco, mi sforzo ma non ci riesco, e forse è proprio questo sforzo che mi ci fa pensare.
Però mi rendo conto che c'è qualcosa di più, di diverso dal solito, da tutte le altre volte.
Io sono diverso, ma soprattutto lei è diversa, non la conosco ma lo so.
Non sono mai stato una persona empatica, non riesco a entrare negli altri, non capisco la gente al primo sguardo, non riesco a inferire intenzioni e sentimenti dalle espressioni.
Sono uno di quelli che gli altri definiscono freddi, materialisti, e hanno ragione.
Eppure questa volta è tutto diverso, questa volta la conosco pur non avendola mai vista, la capisco pur non avendola mai ascoltata.
Sta tornando con il mio Porto rosso senza ghiaccio.
Lo posa sul tavolo, si volta verso di me, mi guarda negli occhi e mi sorride.
Il mio cervello che ormai non è più buono nemmeno per fare da contorno in un piatto di fritto da ristorante cinese riesce, dopo una gestazione elefantiaca, a partorire solo un “grazie”.
-Prego.
E se ne va ancora una volta.
E io ancora qui seduto, solo, un po' più vecchio, un po' più stupido.
Non ci sono riuscito neanche questa volta.
Bevo, ma senza il sollievo che di solito ottengo dal farlo.
È una condizione migliore e peggiore allo stesso tempo.
Non è più quella sorta di quiete autunnale che prima mi permeava e che mi faceva stare bene, adesso è tutto nuovo, tutto acquista un senso, e tutto quello che prima un senso l'aveva ora l’ha perso.
E insieme alla sensazione mai provata e disarmante di sentirmi vivo per la prima volta, nasce un altro sentimento ugualmente forte ma straziante, la paura.
Ho paura.
Paura di non avere il coraggio di parlarle, paura di me, paura di perdere l'unica”cosa” che vorrei avere, paura di avere paura.
Continuo a bere, a stare bene e male, e a pensare.
Nella mia testa Battisti sta cantando una canzone, la collina dei ciliegi, quel verso che fa “troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante, e quasi sempre dietro la collina è il sole”.
Io il sole l'ho intravisto, ma la mia collina è diventata una montagna e la mia prudenza, più che stagnante, ormai è paludosa.
Non ce la faccio ma devo farcela.
Vuoto il bicchiere più in fretta del solito, non penso nemmeno ad accendermi un’altra sigaretta, mi alzo e mi dirigo verso la cassa.
Questa volta sono convinto, questa volta le parlo, ce la faccio, me lo sento.
Mi avvicino alla cassa lentamente, sicuro.
Lei mi nota e dice qualcosa sottovoce alla sua collega che si allontana immediatamente.
Non ne sono certo, ma credo mi abbia davvero notato.
Avanzo verso la cassa deciso, accelerando l’andatura ad ogni passo, e lei fa lo stesso.
Arriviamo insieme, quasi correndo.
La ragazza dei miei sogni dimenticati nel frenare quasi inciampa e, per non cadere, fa qualche passo in più superando la cassa.
A questo punto si rende conto di quello che ha fatto, arrossisce vistosamente, e torna verso di me.
-Dimmi.
Mi dà del tu.
-Ti devo pagare il Porto.
Le do del tu.
-Tutto qui?
-Si, non ho preso altro.
-Tre euro e cinquanta.
Pago, vergognandomi di me stesso, , ringrazio, senza riuscire a dire altro, ed esco.
Non l’ho mai più vista.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Ruttolomeo,

Bellissimo racconto.
Se ti va puoi inviarmi alcuni racconti inediti (possono essere stati pubblicati sul tuo blog ma non in dei libri o giornali) che posso pubblicare (se interessanti) nell'e-magazine che dirigo ( sito provvisorio utenti.lycos.it/historica)e se invierai una richiesta specifica potrai anche diventarne collaboratore.
Comunque ho rispost sul mio blog alla tua domanda.
saluti

Anonimo ha detto...

Mi puoi inviare tutto il materiale all'indirizzo e-mail francescogiubi@libero.it così inserisco tutto nel prossimo numero.
ciao

ruttolomeo ha detto...

visto?

Silvio ha detto...

Complimenti per il tuo racconto. Ricambio il saluto...
Silvio / Se Avessi Tempo...

ruttolomeo ha detto...

L'ho messa lì sul blog, ma in seguito ho avuto consensi (solo verbali...).
Il racconto è frutto della fantasia...

ruttolomeo ha detto...

io pensavo di pubblicare i lavori che mi perverranno come post.
per l'estrazione pubblica va bene, e bisognerà anche decidere un termine...

Anonimo ha detto...

Bella storia, mi piace molto il punto di vista minimo e quotidiano. Mi sfondi nella letteratura? Manco da un po' dalla rete e manchero' nuovamente per qualche tempo. Puoi leggere qualche aggiornamento sulla mia fantastica vita su

www.ergorsum.blogspot.com

ovvero il mio diario di viaggio.
Ciao!

Brooklyn

Si vola, dai! Saranno trenta metri, quarantacinque dicono in tv. Sentiamo l'aria in faccia, abbassa i vetri,  sentiamo tutto ora ...