22 dicembre 2006

EQUIVOCO



Sento la fine che si avvicina sempre più, una spada di Damocle che pende sulla mia testa o, meglio, una lama di coltello pronta a farmi a fette.
Lo so, è la fine, niente più possibilità, niente più tempo per perdere tempo o per mettermi a dieta, che poi è la stessa cosa, tanto più che io sono grasso di costituzione, non posso farci niente…
Lo so perché a noi succede sempre così.
Lo so perché me l’hanno raccontato.
Dicono che in punto di morte ti passa davanti tutta la vita in un attimo interminabile, un effimero infinito, qualcosa come una tartaruga su una ferrari…
Non so se è sempre vero, se succede così sempre, a tutti.
Quello che so è che a me sta succedendo, adesso, anche se non è esattamente tutta la vita, sono momenti, importanti o meno, piacevoli, ma anche fastidiosi, addirittura disperati.
È un susseguirsi di fotografie prese a caso, nessun legame tra loro, tranne me.
Ecco, in questa ci sono io ad un funerale.
Ricordo benissimo quel giorno e il periodo successivo in cui ho portato con me il ruvido dolore per aver perso ciò che di più buono c’è al mondo; ho ancora in mente gli sguardi preoccupati dei miei ignari amici.
Sento ancora le loro voci pronunciare sempre la stessa insistente domanda, ferale presagio di quell’unica risposta.
-Ragazzi, sapete perché il salame è in lutto?
Povera Della, mio primo, unico, grande amore…
Altra foto, altro istante.
In questa ci sono sempre io, ma non sono solo, con me c’è un amico toscano.
Ci metto un po’ a ricordare il momento, è passato molto tempo, ma alla fine ricordo…
Siamo all’uscita di un locale, è estate e noi siamo stati cacciati fuori per aver scatenato una rissa.
Il motivo della rissa lo ricordo benissimo, il mio amico, lo hanno chiamato finocchiona!
E adesso eccomi qua, tornato al presente, all’epilogo, io steso sul tavolo, lui pronto a finirmi e lei che lo ferma, gli dice che non ha capito, che non è quello il salame che vuole.
Li vedo alzarsi insieme mentre io rimango qui, solo, vivo…

7 novembre 2006

BLUES


Una sera è vino.
Non uno champagne francese o un Berlucchi, non è un vino elegante, caro, famoso, non un vino frizzante, e nemmeno uno trasparente, cristallino, bianco, chiaro e pulito. No, è un rosso da poco, scuro e sofferto, sinceramente sporco, pestato con i piedi, niente macchine, niente tecnologia. Un vino da cui non ti aspetti molto se non verità e sudore, e dal quale di solito non ottieni nulla se non verità e sudore, e a volte neanche quelli…
Una sera è la tua stanza in disordine.
La guardi, la osservi, rifletti su da farsi, ponderi, decidi e alla fine agisci, riordini ma dopo alcuni minuti, al massimo ore, lei è tornata come prima, peggio di prima, e tu pensi che forse è meglio lasciar perdere, che tanto non cambierà e non cambierai mai.
Una sera è soltanto musica.
Musica che fa volare, ma comunque musica.
Tutte queste sere è il miglior vino tu abbia ma bevuto, musica che non è mai soltanto musica, una stanza che ti assomiglia…
Una sera è questa estate postuma, questa sorta di malinconia differita ma palese.
È il venerdì del villaggio, la tristallegria che provi pensando alla gioia di domani ma anche alla noia e alla tristezza di domenica.
Una sera è neve in agosto.
Qualcosa che non prevedi e che ti sorprende nel bene e nel male, è brodo quando ti aspetti le lasagne e lasagne quando ti aspetti il brodo, non importa se ciò che credevi e poi non è sia meglio o peggio, l’importante è la sorpresa, sempre e solo la sorpresa.
Una sera è il tempo perduto, le cose iniziate che non finirai mai.
L’armonica chiusa in un cassetto, il libro di anatomia del disegno, i pattini, le chine, il pianoforte, tempo perso nel miglior modo possibile…
Una sera sono le parole ruvide, quelle che grattano dentro.
Parole che fanno capire che i sentimenti non sono affetto e dolcezza ma rabbia e grida e mal di stomaco. È la sera in cui ti rendi conto che amore non fa rima con cuore ma con odore, che l’amore vero non ha la A maiuscola ma troppe R.
Una sera è un bicchiere di Porto rosso davanti a un film, magari “Tutte le ore feriscono…l’ultima uccide” di Melville.
Una sera è tutto.
La stessa sera è niente.
Ogni sera è Lui che non c’è più e la colpa è anche un po’ tua, un po' tanto...
Una notte siete voi sulla spiaggia con la stagione ormai conclusa.
Quella notte è lei che ti chiede quanto ti stai frenando da zero a dieci, e tu che menti, chissà poi perché…
Una sera è Sonny boy Williamson.
Un’altra è Hank Williams.
Ogni sera sono i buchi alle tue orecchie che servono a non dimenticare.
Una sera è campi di cotone e schiavitù e fatica e rabbia e disperazione.
La stessa sera è qualcuno che in tutto quello trova una speranza, trova la voglia di esprimersi e tira fuori dalla tasca la sua migliore amica…
Una sera è come fa uno così a stare con una così?
Una sera è ho bisogno di tempo per pensare.
Una sera è la tua semplicità così complessa…
Sei tu, cresciuto troppo in fretta eppure ancora così bambino da parlare con la luna, costantemente all’inseguimento di ciò che hai paura di raggiungere.
Una sera è frenesia, foga, bulimia alimentaresentimentalesessuale che conduce nell’unica direzione possibile, in fondo a destra.
Una sera sei tu che hai paura, paura di perderla.
È la sera in cui sei così miope da non renderti conto che non si può perdere quello che non si ha.
Ogni sera è quello che penso e quello che faccio.
Stasera sono io che piango e rido al ricordo del più bell’assolo che abbia mai incontrato.

26 agosto 2006

DOMANDE



Qual è il numero più grande?
Di che cosa è fatta la colla?
Perchè il cielo è azzurro?
Sei per otto?

23 agosto 2006

BLACK OUT


È saltata la corrente.
Meglio così, in fondo senza luce non si sta poi cosi male, c’è tempo per pensare…
Non funziona la tivù e questo è già un gran pregio.
Silenzio…
Silenzio……
Silenzio………
Silenzio…………
Non ci sono abituato, non così, almeno.
Anche il frigo ha deciso di stare zitto, non l’aveva mai fatto, non che lo sentissi, non ci ho mai fatto caso, ma ora mi accorgo che manca qualcosa, manca il suo debole vagito, nervoso infante elettrico.
Da qualche parte dovrei avere una di quelle lampade di sicurezza, quelle che si accendono da sole quando manca la corrente se le lasci attaccate alla presa…
Non l’ho mai attaccata…
Sono contento di non averla mai attaccata…
Potrei accendere una candela, quelle so dove sono e l’accendino lo tengo sempre in tasca, con il tabacco e le cartine, ma non ne ho voglia.
Invece ho voglia di fumare, mi faccio una sigaretta. Mi riesce anche al buio, in fondo l’esperienza affina le capacità, no? Penso che ormai riuscirei a farle anche bendato in equilibrio su uno spillo piantato sulla schiena di un cavallo lanciato al galoppo, se non odiassi i cavalli e gli spilli…
L’ accendo e mi avvicino alla finestra.
Guardo giù in strada, la desolazione è la solita, certo, questa non è proprio una città “viva”, a volte mi sorprendo ad odiarla e forse uno dei motivi è proprio questo.
Sembra una di quelle città uscite dalla matita di Frank Miller, cupa, triste, sorda e cieca, giovane eppure stanca, svogliata, apatica, costantemente bagnata dalle lacrime di un Dio conscio dell’errore commesso.
Ma ora, così nera come non l’avevo mai vista (non c’è nemmeno la luna), ora, ancora più triste e ancora più sola, acquista il fascino cupo e misterioso di una giovane donna in abito da sera relegata e rinchiusa nei suoi pensieri e in un angolo di quella sala dove altre persone, vestite tutte allo stesso modo, sembrano divertirsi.
Anche tu sei lì, nell’ultimo posto in cui saresti voluto andare quella sera che, all’improvviso, diventa il posto in cui vorresti essere da sempre.
Sei lì e vorresti andare da lei.
Sei lì e vorresti dirle ti capisco, anch’io provo le tue stesse emozioni, non ci siamo mai visti eppure non mi sono mai sentito così vicino a qualcuno, vieni via con me, lascia che ti salvi, lascia che ti strappi quel vestito, silenzioso testimone di ciò che gli altri credono tu sia e che tu non sarai mai, strappa il mio, amami…
Sei lì ma ti tremano le gambe…
Vorresti andare da lei ma ti mancano le parole…
Sei lì e rimani lì, sudato e sentimentalmente sgrammaticato…
Buio e amore, mi viene in mente una canzone dei Beatles, with a little help from my friends.
Quel verso che dice:
Do you believe in the love at first sight?
Yes, I’m certain that it happends all the times.
What do you see when you turn off the light?
I can’t tell you but I know it’s mine.
Credi nell’amore a prima vista?
Si, sono certo che succede ogni volta.
Cosa vedi quando spegni le luci?
Non so dirtelo ma so che è mio.
Guardo giù e mi chiedo quanti black out ci saranno in questo momento nel mondo, e quante persone saranno alla finestra con una sigaretta accesa a chiedersi quello che mi sto chiedendo io…
Qualche black out, penso…
E molte persone.
Vorrei partire, adesso, e andare via verso questa gente, questi paesi che non conosco per sentirmi straniero, vergine innamorata di qualcuno che non conosce e di un amore che non sa e non più puttana che batte da anni lo stesso viale.
Già, partire…
C’è chi dice che partire è un po’ morire, chi dice che chi lascia la via vecchia per la nuova sa quello che perde eccetera, c’è anche chi dice che non ci si può fidare delle persone che non conoscono i proverbi, l’ ho sentito da qualche parte, non ricordo dove.
Dicevo, c’è chi dice di stare a casa, altri assicurano il buono stato delle vecchie vie insinuando atroci dubbi riguardanti le condizioni di quelle nuove…cosa troverò?
Buche talmente enormi da comparire nel mappamondo?
Code quintalometriche misurate in anni luce?
Gli aerei di quelli che partono e un po’ muoiono che vengono a schiantarsi proprio sulla mia testa?
Più semafori rossi?
Lampi, tuoni, un temporale con chicchi di grandine tanto colossali da riempire le buche di cui sopra?
Attraversamenti pedonali non illuminati?
Ippospilli muniti di tabagisti funamboli?
Non partirò, non stasera!
È la prima volta che la mia città riesce a sedurmi, non sarebbe giusto tradirla proprio adesso!
Rivolgo lo sguardo in ogni direzione alla ricerca di una piccola luce, la luce di un’altra sigaretta, lillipuziano faro che mi conduca verso qualcuno simile a me, verso un porto amico.
O amica…
Niente!
Non è che non ci siano luci, intorno ho molte finestre e ogni tanto ne sboccia una, ma non è quel tipo di luce che cerco, non deve essere qualcosa di funzionale al vederci meglio, cerco qualcuno che approfitti di questo buio fuori dal tempo, superato, antiquato (qualche persona lo definirebbe vintage), per immaginare, per sognare o per fare domande senza voler conoscere le risposte.
Guardo in alto, niente…
In basso, i piani sotto al mio, niente……
Le finestre di lato, niente………
I palazzi vicini, niente!
Vabbè, non è la serata giusta, peccato però, questa volta mi stavo convincendo.
Forse non ho cercato abbastanza, forse dovrei riprovare, insistere, in fondo non è che abbia molto da fare…
Va bene, guardiamo un’altra volta, l’ultima.
In alto in basso di lato vicino lontano, niente!
Non può essere così, non è possibile!
Ancora una volta e poi basta, questa è l’ultima davvero…
Su giù di qua di là, ancora niente…
Aspetta!
Un attimo!
C’è qualcosa, sul terrazzo esattamente di fronte al mio c’è qualcuno!
È al buio ma si intravede una piccola luce, è una sigaretta, una cicca, una bionda, una paglia!
Peccato che non riesca a vedere la sua faccia, non riesco neanche a capire se è un uomo o una donna.
La luce comincia a muoversi, si alza, si allontana leggermente, poi, improvvisamente, si fa molto più intensa, non mi ero mai accorto di quanto illuminasse il braciere di una sigaretta mentre la stai tirando.
Riesco addirittura a vedere il suo volto, non è un’immagine chiara ma si riesce a intuire qualcosa…
È sicuramente una ragazza, sembra giovane.
Non la vedo più, ha smesso di tirare.
Ma cosa sta facendo? La sigarettatorcia comincia a muoversi in circolo, poi si ferma, adesso va su e giù, non capisco, a meno che, forse, si!
Sta scrivendo!
Ecco, questa deve essere una O, prima ha fatto una C e una I, credo…
C, I, O, ciao! La A me la sarò persa…
Proviamo a rispondere, C, I, A, O.
E lei: A, S, P ,E, T, T, A, M, I.
Aspettami? E dove vuoi che vada?
Ha buttato la sigaretta, rientra, forse viene davvero, viene da me!
No, avrò capito male, chissà che cosa ha scritto, oppure ha qualcosa da fare, magari deve andare in bagno e intendeva dire che sarebbe tornata sul balcone.
Vabbè, aspetto…
Aspetto…
E aspetto…
Non ci posso credere!
È lei, giù, per strada! Sta attraversando e viene da me!
È entrata nel portone, fortuna che lo lasciano sempre aperto.
Cosafacciocosafacciocosafacciocosafacciocosafaccio?
Stai calmo, rilassati…
È arrivata, è lei, sta bussando.
È qui, ad un metro da me, dietro questa porta, che faccio?
Apro.
Non mi ero sbagliato, è giovane davvero, ventiquattro, venticinque anni, direi, quello che non avevo capito guardandola da lontano, al buio, è che è bellissima, più di quanto pensavo si potesse essere.
È bionda, o castana, riccia, non è molto alta, direi giusta, se esiste un’altezza giusta.
Ha un corpo magnifico, due tette incredibili, il culo non riesco a vederlo, è dietro, ma lo immagino senza grandi difficoltà …
Insomma, incantevole.
La guardo, mi guarda, cerco le parole giuste, non voglio sbagliare, non questa volta, ma è lei a parlare.
-Ciao! Senti, ti sembrerà stupido ma sai, ti ho visto lì, alla finestra e mi sono detta perché no, perché non provare e allora sono venuta per…
Insomma, la faccio breve, vorrei chiederti una cosa, non hai mica una di quelle lampade di sicurezza da prestarmi, sai, quelle che si accendono da sole quando manca la corrente se le lasci attaccate alla presa, perché, vedi, io senza luce non riesco a stare, già il fatto che non funziona la tele mi fa incazzare da morire, stasera poi, e ho PENSATO: se almeno avessi la luce potr…Ma cosa è stato? Hai sentito? Un rumore, come se fosse caduto qualcosa, l’ hai sentito, no?
-Si, l’ho sentito, sono le mie PALLE che si sono frantumate a terra, sai, sono abituate a sentire cazzate ma c’è un limite a tutto, si vede che non hanno resistito e hanno preferito suicidarsi -vorrei dirle e, invece, sento uscire dalla mia bocca qualcosa tipo-si, deve essere caduto qualcosa di là. Comunque mi dispiace ma non ce l’ho la lampada…
-Ah, non importa, grazie lo stesso, allora vado, magari una sera ci vediamo, che so, andiamo a prendere una birra?
-Una sera, magari (se mi rincoglionisco del tutto), perché no?
-Mi dai il tuo numero cosi magari ti chiamo, quando sono libera, sennò ti do io il mio…
-Senti, tu credi nel destino?
-Certo! Solo gli stupidi non ci credono!
-Già, solo gli stupidi (come me, testa di cazzo!). Vedi, io credo che non dovremmo scambiarci i numeri, penso che dovremmo lasciare la scelta al fato, se vorrà ci rincontreremo e allora, magari, potremmo darceli, i numeri, no?
-Ma sai che hai proprio ragione! Allora vado, a presto, se il cielo vorrà, ciao!
-Ciao! (speriamo che non voglia)
La seguo mentre si allontana nel buio e mi accorgo che ha un culo ancora più bello di quanto immaginassi…
Città bastarda, mi hai preso in giro un’altra volta, ti diverti a giocare con me, come quella sera, alla festa…
Alla fine l’ho avuto il coraggio, anche se mi tremavano le gambe, anche se stavo sudando.
Non potevo andarmene, lasciarla sola, era troppo bella e troppo triste, così simile a me, pensavo…
Sono andato da lei e le ho detto quelle cose, le ho detto che la capivo, che in quel momento tra noi c’era una sincronia perfetta, le ho detto andiamo via, adesso, insieme…
Lei ha alzato gli occhi, neri, come tutto il resto, ha guardato nei miei e ha detto
-Che macchina hai?

16 agosto 2006

AMORE

Non me ne frega un cazzo del tuo corpo, vorrei trapanarti la testa per trombarti il cervello.

8 agosto 2006

IL BRUTTO E D'ANNATA

Sovente accade, non posso farci nulla,
che nella nostra darwiniana società
un essere vivente, sin da quando è nella culla,
sia giudicato in base alla beltà.

Ma non per la beltà sprecherò altro inchiostro,
troppe penne ne hanno già parlato
e, quindi, non adoprerò il mio estro
per ineggiare al bello e dannato.

Persona assai più interessante,
uomo di virtù, anche se celata,
poeta ispirato, instancabile amante,
parlerò di lui, del brutto e d'annata.

Certo, a prima vista non incanta come adone,
anzi, usualmente spaventa la donzella
che a lui si avvicina con fare sornione
poi, vistolo, fugge siccome gazzella.

Ma, poscia, superato il primo istante,
la gentildonna sta davanti a un bivio,
scappi se il brutto è pure deficiente,
resti se invece è gentile e savio.

quest'ultimo, invero, è un grande incantatore,
unico nel suo genere, maestro di savoir faire,
fine di mente, con voce da tenore,
amante (in senso metaforico!) di Baudelaire.

E, quindi, a voi mi appello gentili e oneste dame,
sappiate ben distinguere, o nobili signore,
tra il genio bruttarello e il bello del reame,
tra l'effimero corpo e il sempiterno core...

3 agosto 2006

PENSIERI(E PAROLE...)

Una volta, anni fa, quando ero giovane e stupido, un amico mi ha detto -sto seminando bombe in giardino.
Era vero, lo stava facendo, e come lui io, e come noi altri, con la piena coscienza che un giorno o l'altro saremmo inciampati su uno di qesti ordigni...
Ho sempre trovato affascinanti le metafore, forse per la loro capacità di dire e non dire,per l'inspiegabile magia di descrivere un'idea meglio dell'idea stessa.
E' la realtà differita delle onde ciò che più affascina o spaventa in una metafora e nelle bombe di cui sopra. Quando vedi arrivare un'onda, enorme o minuscola che sia, sai che proviene da qualche parte e che qualcosa l'ha creata, un sasso gettato in acqua, una nave di passaggio, il vento. Lo sai ma non ti interessa, ti interessa o ti fa paura soltanto l'onda.
E' l'effetto che divora la causa.
E' l'arrivo che sorpassa la partenza.
E' quando, da piccolo, giochi al telefono senza fili e cambi apposta le parole perchè non ti piace che tutto finisca come è iniziato.
Adesso sono un po' meno giovane e un po' più stupido e bombe in giardino non ne semino più, purtroppo o per fortuna.
Adesso le mine le metto dentro le matite.

1 agosto 2006

Eccomi qua.

Eccomi qua.
Il mio dottore, che poi non è proprio il mio dottore, a dire la verità è la prima volta che lo vedo, mi ha detto che l’unico modo per riuscire a stare meglio è questo…
Ha detto che la palestra non va bene, perché potrebbe causare qualcosa che non ricordo al mio cuore, l’aerobica e la corsa non se parla, procurerebbero traumi smisurati alle mie ginocchia. Altre attività fisiche che ho dimenticato avrebbero avuto effetti collaterali di proporzioni bibliche, sarebbero morti tutti i miei parenti ancora in vita, e quelli già morti sarebbero resuscitati solo per potere morire di nuovo, avrei provocato un’invasione di cavallette, le sette piaghe d’Egitto, avrei avuto Marte in trigono con Urano nella quarta casa, Mercurio in termometro e un’unghia incarnita, il piede d’atleta, il gomito del tennista, il ginocchio della lavandaia e, soprattutto, il monte di venere, avrei attirato un meteorite capace di ridurre la terra in frantumi, sarebbe uscito un nuovo album dei Jalisse, e tanto altro ancora…
Insomma, non potevo fare niente ma DOVEVO fare qualcosa e l’unica cosa era questa…
Io ho provato a spiegargli che sto bene così, che non c’è bisogno, che, in fondo, sono andato da lui perché mi hanno praticamente costretto, che sto bene così, che per me non è un problema e non lo è mai stato, che davvero, lo giuro su chi vuole, STO-BENE-COSI’!
Ma lui niente!
È così difficile fare capire qualcosa a chi crede di sapere già tutto.
Ha detto che non mi rendo conto, che se continuo in questo modo non immagino neanche dove andrò a finire, che un giorno lo ringrazierò.
Beh, per adesso lo odio, ma forse, un giorno, chissà…

Brooklyn

Si vola, dai! Saranno trenta metri, quarantacinque dicono in tv. Sentiamo l'aria in faccia, abbassa i vetri,  sentiamo tutto ora ...